Veloce Come Il Vento
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Italian Race (Italian: Veloce come il vento) is a 2016 Italian sports-drama film written and directed by Matteo Rovere.[2][3] It is loosely based on the true story of rally racing driver Carlo Capone.[4]
The passion for engines has always flowed in Giulia De Martino's veins. She comes from a family that has been producing motor racing champions for generations. She too is a driver, an exceptional talent who, at the age of seventeen, took part in the GT Championship, under the guidance of her father Mario.
Corse automobilistiche, accenti emiliani e conflitti familiari che trovano una risoluzione atraveros la passione di famiglia: sono solo alcuni degli ingredienti che compongono il film, liberamente ispirato alla vicenda personale del pilota di rally Carlo Capone . Veloce come il vento va in onda venerdì 22 marzo alle 21.15 su Rai3.
Based on a story by Matteo Rovere who co-wrote the screenplay with Filippo Gravino and Francesca Manieri and also directed, Veloce come il vento is a touching family drama with a hopeful outlook on things. The film throws many curve balls at lead Giulia as she is trying to win in car racing, but nothing is going to stop her from winning and keeping her family together. The film has its ups and downs and it works well on all fronts. The balance of good moments versus sad moments creates a dynamic storyline and gives plenty for the characters to bond over. The film makes good use of the drama and the few comedic moments and builds itself towards an end that is a touch sad, but also perfect.
Giulia (Matilda De Angelis) ha 17 anni, occhi da cerbiatta blu come la striscia rasata di capelli che porta con disinvoltura, una passione sfrenata per i motori e tante responsabilità: abbandonata prima dalla madre e rimasta orfana di padre, la ragazza deve occuparsi non solo del fratello più piccolo, Nico (Giulio Pugnaghi), ma anche rimediare ai debiti lasciati dal genitore, pena la perdita della casa. Loris (Stefano Accorsi) è il maggiore dei tre fratelli, un passato glorioso nel mondo delle corse di rally che gli è valso il soprannome "il ballerino" per la sua capacità di danzare tra le curve della strada, che però si è bruciato i sogni di fortuna e gloria con la droga, che ha sostituito la sua fame di adrenalina.
Dopo Lo chiamavano Jeeg Robot e Perfetti sconosciuti, il cinema italiano è pronto a vincere una nuova sfida con Veloce come il vento, terza pellicola di Matteo Rovere che abbandona gli appartamenti lussuosi dell'annoiata borghesia per sporcarsi le mani nelle officine della provincia di Bologna, entrando con occhio curioso nel mondo delle gare da rally, un panorama quasi sconosciuto dal cinema nostrano. Ispiratosi alla vera storia di Carlo Capone, campione di corsa negli anni '80 dalla storia personale tormentata, Rovere ha avuto il coraggio di cambiare totalmente genere, affrontando un tipo di cinema, quello delle gare sportive di corsa, che raramente è stato portato al cinema in Italia, assumendosi tutti i rischi di questa scelta, un po' come i suoi personaggi, che si buttano quasi senza pensare su piste sterrate a velocità incredibili, spinti sopratutto dal cuore più che dalla razionalità. Una mossa vincente: la pellicola è infatti priva di intellettualismi presuntuosi e asfittici, ma ha tanta voglia di fare e raccontare, di emozionare e stupire, ha, è il caso di dirlo, tanta benzina che pompa nei suoi circuiti e travolge lo spettatore con elementi semplici e allo stesso tempo spettacolari.
Rimasto incatenato per anni a commedie tutte uguali e film dalle pretese intellettuali ancora più omologati, il cinema italiano sembra ora vivere improvvisamente, quasi per una fortunata congiuntura astrale, una nuova stagione di vitalità e voglia di raccontare in modo nuovo: basti pensare a Lo chiamavano Jeeg Robot, che ha l'ambizione di creare una mitologia di supereroi all'italiana, o a Perfetti sconosciuti, che ribalta la commedia corale trasformandola quasi in un giallo all'Agatha Christie. Veloce come il vento non è da meno, lanciandosi nella sfida di filmare scene d'azione in automobile che, tranne forse il recente caso di Velocità massima di Daniele Vicari, mancavano dal cinema italiano dai poliziotteschi degli anni '70 e '80.
Appresa la lezione del cinema americano, guardando a pellicole come Rush di Ron Howard e alla saga di Fast and Furious - Solo parti originali, Rovere si lancia in riprese complicate, in cui protagonisti e stunt hanno dovuto guidare con tre telecamere poggiate sui cofani delle macchine, servendosi di un montaggio incalzante e inquadrature che mostrano anche l'interno del motore, per dare un'esperienza a 360 gradi delle corse, letteralmente gettando la macchina da presa tra metallo e bulloni, per imprimere sullo schermo tutta l'adrenalina di quel mondo affascinante quanto misterioso. Servendosi pochissimo della computer grafica, Rovere ha dato un'aura artigianale al suo film, curando molto anche fotografia e colonna sonora, grazie al lavoro di Michele D'Attanasio e Andrea Farri, divenuti colori fondamentali con cui dipingere la sua tela, tracciando un percorso che sicuramente servirà da guida per i prossimi cineasti spinti dalla stessa ambizione.
Cuore pulsante di Veloce come il vento è la coppia di protagonisti: Matilde De Angelis - che somiglia vagamente a Jennifer Lawrence ma possiede un'eleganza che non appartiene invece alla star americana - è una scoperta, la sua Giulia è spontanea e sincera, un personaggio femminile finalmente a tutto tondo, con paure, responsabilità, coraggio e anche un sano desiderio di divertirsi, che a 17 anni dovrebbe essere la normalità. Gli occhi grandi e pieni di speranze di Giulia sono il contraltare perfetto per quelli di Loris, bruciati dalla droga e spesso persi nel vuoto, a guardare un passato che non tornerà più e fissi su un presente squallido da cui è difficile riemergere. Lavorando sul fisico come mai nella sua carriera, Stefano Accorsi è una delle scommesse vinte dal film: guardato ultimamente sempre con pregiudizio, l'attore si è fatto trasformare, perdendo 10 chili di peso, sporcandosi unghie e capelli, facendosi truccare i denti perché sembrassero marci e recuperando l'accento romagnolo, che forse non usava dai tempi del famoso spot di "du gusti is megl' che one". Il suo Loris, che avrebbe potuto facilmente trasformarsi in una macchietta, è invece un derelitto autentico, come dice nel film "di disperati veri siamo rimasti in pochi": nonostante la sgradevolezza iniziale, ci si affeziona presto al personaggio, che verso il finale finisce per rubare la scena, raccogliendo il testimone da Giulia come centro morale del film. Il balletto tra i due, sia emotivo che tra le curve della pista, commuove e appassiona, perché la storia dei fratelli De Martino è finalmente vera e autentica, fatta di sbagli e dolore, di sudore e impegno, di slanci presi in preda all'impulsività e quindi pieni di vita.
Le ambizioni "americane" del film, che rimane comunque italianissimo, ma ha un'idea, finalmente, internazionale di cinema, non riguardano solo le corse però: il percorso dei due protagonisti sembra venire direttamente dalle pellicole di riscatto che hanno reso grande il cinema made in USA, con i fratelli De Martino trasformati in dei Rocky Balboa della provincia bolognese: appesantiti da un passato infelice, schiacciati da debiti, responsabilità e sogni infranti, Giulia e Loris sfruttano quello che hanno, ovvero il loro corpo e il cuore, piegando il proprio fisico a uno scopo, vincere le gare, che diventa anche il senso delle loro vite e metafora dell'esistenza umana stessa. Sfruttando le proprie capacità, i fratelli ritrovano se stessi: una storia di redenzione che paradossalmente sembra ricalcare quella del cinema italiano. Stefano Accorsi, nel bene e nel male, uno degli attori di maggior successo emersi in questi ultimi 20 anni, è un Loris a sua volta: esploso tra fine anni '90 e inizio 2000, l'attore è stato sempre più criticato per poi sparire per un lungo periodo, in cui ha lavorato in Francia. Tornato ora in Italia, l'attore sta cercando di trasformarsi e migliorare: ci ha provato con la serie 1992, altro progetto ambizioso, e ora con questo ruolo, per cui si è imbruttito e ha lavorato sul corpo, proprio come avrebbe fatto una star americana. Prendendo per mano la giovane e promettente Matilda De Angelis, è come se Accorsi rappresentasse il vecchio modo di fare cinema italiano che cerca di trasmettere la sua esperienza alle nuove leve, tracciando insieme un percorso dalle idee chiare e il cuore limpido.
Chiunque dotato di un raziocinio sa che tutto ciò che sta facendo sullo schermo Accorsi non succederà MAI così teatrale nella vita reale, neanche preferire il Maxibon a qualsiasi altra forma di gelato sulla terra. Stefano Accorsi è, molto semplicemente, irritante. Ma dargli una pipa da crack in mano, come accade in Veloce come il vento, sembrerebbe riuscire nell'impossibile impresa di giustificare tutta la sua teatralità. Al di là della droga e i capelli unti che indubbiamente aiutano, per la prima volta ho trovato che un suo personaggio avesse senso e che quindi ne guadagnasse tutto il film. Non c'è un racconto molto dettagliato del suo passato, probabilmente per evitare il classico momento "personaggio che senza motivo racconta una storia lunghissima perché lo sceneggiatore non avrebbe saputo come altro infilarla nella narrazione," e per questo bisogna ringraziare chiunque abbia lavorato al film, ma il punto è: il tormento di Stefano Accorsi sembra reale. 59ce067264
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